Biennale
Gherdëina III


Concept

Arte nell’interesse pubblico - Sculture contemporanee nella zona pedonale di Ortisei


„La scultura non desidera esistere indipendentemente dall’osservatore, come se fosse data dall’inizio, finita e pronta per essere portata via (...). La scultura aspetta l’intuizione, la soggettività e l’arbitrio dell’osservatore creativo che è invitato a riempire il suo vuoto, come se bisognasse credere che tutto quanto dipenda da noi, che noi siamo tutto e lei non sia nulla. In modo silenzioso e non autoritario, senza chiacchiere aneddotiche e senza esortazioni, quest’opera si concede al soggetto osservante che la svelerà. Come parola rimandata e latente è destinata ad attendere che la si pronunci.”

Rémy Zaugg, Die List der Unschuld.
Das Wahrnehmen einer Skulptur, 1982

Un’arringa a favore dell’arte nello spazio pubblico Con quella di quest’anno siamo ormai giunti alla terza edizione della Biennale Gherdëina nella zona pedonale di Orti-sei. Dal 2008 – all’epoca organizzata come evento parallelo alla “Manifesta” – la biennale presta il fianco al rapporto ambivalente tra arte e pubblico. Ogni due anni vengono presentate le opere di cinque rinomati artisti altoatesini, con l’intento di avvicinare l’arte contemporanea ad un pubblico più ampio e di mettere gli abitanti del posto come anche i villeggianti di fronte ai temi dell’arte.

La scelta di presentare un evento d’arte contemporanea nel-lo spazio pubblico comporta ogni volta una sfida particolare. Per molte persone è il primo contatto con questo tipo d’arte. Le sculture esposte non si rivolgono in prima linea ad un pubblico abituato ai discorsi e alle questioni sollevate dall’arte contemporanea. Ovviamente c’è una notevole differenza tra una mostra d’arte in un museo ed una in un con-testo pubblico. Il museo d’arte contemporanea è uno spazio chiuso e ben definito, quasi ermetico, ed il visitatore appassionato, che sa cosa lo attende, vi si reca con il chiaro intento di vedere le opere esposte al suo interno. Egli ha la possibilità di prepararsi alla mostra, di seguire una visita guidata o fruire di un apposito programma didattico, e successivamente può anche approfondire la materia con l’ausilio di un catalogo. Al contrario, le opere d’arte esposte nello spazio pubblico si insinuano nella vita quotidiana delle persone. Esse si presentano in un contesto inusuale che nulla ha a che vedere con un comune spazio destinato all’arte. È così inevitabile che numerose perso-ne vengano improvvisamente in contatto con le opere – e spesso anche senza volerlo. La mancanza di curiosità e di comprensione per l’arte contemporanea, spesse volte ritenuta un disturbo o addirittura una provocazione, può essere causa di conflitti. Evidentemente viene toccato un nervo scoperto; reazioni emozionali anche brusche ne sono la conseguenza. L’organizzazione di un evento d’arte contemporanea nella zona pedonale di Ortisei richiede, considerando le premesse, coraggio e voglia di rischiare.

A questo punto possiamo anche provocatoriamente interrogar-ci sul senso di un tale progetto: non è sufficiente che soltanto chi sia davvero interessato vada a visitare un museo d’arte contemporanea? Che bisogno c’è di costringere gli abitanti del posto e i turisti a confrontarsi con opere enigmatiche, scomode o anche fastidiose nello spazio pubblico? La semplicità della risposta può meravigliare: l’arte fa parte dell’essere umano. E non mi riferisco soltanto alla storia dell’arte – cioè alle opere di epoche passate – ma anche e specialmente all’arte contemporanea: essa non è un bene di lusso folle di un’elite intellettuale. È vero proprio il contrario! È infatti un tratto caratteristico e anzi centrale dell’uomo esprimersi in maniera creativa, nel tentativo di comprendere o mettere in dubbio, anche attraverso l’arte, sé stesso e il mondo che lo circonda. L’attività artistica, dell’artista stesso ma anche del fruitore, non dovrebbe essere un momento esclusivo riservato a poche persone, una passione da inseguire entro le pareti protette dell’atelier.

I musei sono luoghi favolosi ed essenziali per l’arte (anche se spesso hanno un orientamento troppo elitario), ma è fonda-mentale che l’arte sappia abbandonare la cornice istituzionale e sappia avvicinarsi alle persone – ad esempio nello spazio pubblico. Questo nuovo contatto può destare curiosità o anche invogliare a visitare un museo d’arte. Altri invece potrebbero essere infastiditi e irritati, come si è visto anche quest’anno all’inaugurazione della III. Biennale Gherdëina: accanto alle numerose reazioni entusiaste si sono sentite anche voci molto critiche, in parte persino violentemente offensive. Per evitare di essere frainteso: è un fatto assolutamente positivo se l’arte riesce ad avviare una discussione e a dare vita ad un dibattito appassionato. L’arte deve anche scuoterci, provocare a fare male – soprattutto quando c’è da affrontare e mettere in discussione temi scomodi del nostro tempo. Non tutto deve piacere ed essere approvato. Evidentemente è lecito afferma-re: “Non mi piace!” Ma se emozioni soggettive, disapprovazione o offese dei sentimenti personali vengono innalzati a metro di giudizio oggettivo, e se si chiede la rimozione o si pretende addirittura di vietare “tale arte” (o se si nega il carattere artistico di un’opera), allora la discussione rischia di muoversi su un terreno pericoloso. In questo contesto è lecito rivolgere una domanda importante anche alla politica: fino a che punto è giusto tollerare e promuovere l’arte contemporanea – anche quando si esprime in termini critici, quando risulta spigolosa e pone domande scomode? Il trattamento riservato alle artiste e agli artisti contemporanei la dice lunga sull’apertura e sul grado di democrazia di una società. È dunque auspicabile un confronto aperto e sincero, un “es-porsi all’opera d’arte”, senza condannare precipitosamente – magari correndo il rischio di dover mettere in discussione sé stessi e la propria opinione. È bello vedere che ad Ortisei sia stato trovato il coraggio di riproporre anche nel 2012 questa rassegna nello spazio pubblico, anche dopo le critiche e i malumori che hanno accompagnato (insieme alle molte reazioni positive) le ultime due edizioni.

L’arte nello spazio pubblico è sempre esistita. Ma diversa-mente dal modello seguito nel passato e in molti casi anche fino ai giorni nostri – soprattutto attraverso monumenti, sta-tue e busti di ogni genere – le artiste e gli artisti contemporanei si occupano di argomenti e temi nuovi. Gli artisti di oggi sono diventati estremamente flessibili, hanno abbandonato il concetto dell’arte elitario dei tempi passati e sono spinti dalla convinzione che non è sufficiente spostare semplicemente una scultura dall’atelier alla piazza. Oggi, lo spazio pubblico di città e paesi è spesso eccessivamente predeterminato e iper-organizzato. La filosofia onnipresente del “comprami” e del “guardami” dei centri urbani comporta che gli artisti si avvicinino con distanza critica alla situazione nuova e alle esigenze dell’arte nello spazio pubblico. E al tempo stesso devono cercare un modo per riuscire ad affermarsi. L’“arte nell’interesse pubblico”, come ho definito nel titolo la rilevanza sociale dell’arte nello spazio pubblico, è un appello che ho ripreso da Arlene Raven1 e che può essere una base solida nel tentativo di stabili-re un rapporto serio con l’arte in contesti non-istituzionali. La percezione dell’arte nello spazio pubblico dipende da molte variabili e da interessi diversi, della politica, dei media e degli operatori turistici. È così di fondamentale importanza trovare una strada per salvaguardare l’autonomia e la libertà dell’arte e per evitare l’esternazione di opinioni preconcette. Ecco che da parte degli organizzatori e dei curatori è richiesta grande sensibilità e discrezione nell’approccio e nella mediazione dell’evento. E gli stessi artisti devono essere consapevoli della particolarità del posto. Non bisogna chiedere troppo ai visitatori, è necessario un lavoro di mediazione tra le opere e il pubblico, preparare informazioni facilmente comprensibili, offrire anche visite guidate e proporre incontri da cui possa scaturire una discussione costruttiva.

Personalmente sono convinto che le opere esposte alla III. Biennale Gherdëina rappresentino per i visitatori della zona pedonale un’ottima opportunità per tentare un approccio sti-molante e sfaccettato all’arte contemporanea. Le opere, prodotte appositamente per questa rassegna, sono state realizzate in loco. Agli artisti è così stato possibile interagire direttamente con il contesto urbano e dare vita ad un dialogo proficuo con le persone e l’ambiente circostante. La zona pedonale è il posto ideale per una tranquilla passeggiata, è un luogo della comunicazione e ovviamente anche del consumo. Inserite in questo contesto, le opere d’arte non creano intralcio all’attività economica e all’andirivieni sociale e non devono neanche ledere la sensibilità dei passanti. Dall’altro lato possono però essere viste dall’osservatore attento come arricchimento, possono invitarlo alla riflessione e a confrontarsi con i temi della nostra società, possono infine dischiudere, attraverso i meccanismi della decontestualizzazione, prospettive inedite su ciò che risulta noto o è da tempo affermato. L’arte però può essere anche un piacere visivo e sensuale, in certi casi può strappare un sorriso a chi osserva o anche provocare emozioni forti. Tutto ciò può però soltanto succedere se lui, se lei, se noi tutti abbiamo il coraggio di entrare in relazione e dialogare con le opere d’arte.

L’estensione del concetto di scultura

“La scultura è ciò contro cui vai ad urtare quando indietreggi per osservare un quadro”, questa l’ironica battuta pronuncia-ta dall’artista Barnett Newman negli anni 1950.2 L’intenzione di Barnett di affermare il primato della pittura sulla scultura richiama alla mente la “competizione” rinascimentale e del primo periodo barocco tra le arti, soprattutto tra la pittura e la scultura, che rivendicavano la rispettiva superiorità. La disputa non è mai stata risolta e oggi, nell’epoca multimediale dell’arte, ha perso la sua importanza. Da sempre però, la scultura occupa un posto preminente tra le belle arti. Diversamente dalla pittura, essa tratta in modo immediato la relazione tra corpo e spazio e deve pertanto essere concepita fin dall’inizio tenendo conto di tutti i lati che la compongo-no. Il termine “scultura” definisce un’opera tridimensionale volta alla creazione di corpi, e il termine “plastica” ne è, in senso lato, sinonimo. Le proprietà tipiche della scultura sono dunque la tridimensionalità, il posizionamento nello spazio e il carattere tattile. Nel XX secolo, tuttavia, il concetto classi-co di scultura è stato forzato e notevolmente ampliato.3

L’evoluzione della scultura durante il secolo scorso è caratterizzata soprattutto dall’abbandono della figura umana.4 La scultura è stata per secoli semplice rappresentazione dell’anatomia umana, ma agli inizi del XX secolo si è allontanata in modo deciso dal principio figurale. Assistiamo così ad un processo di astrazione, cioè a un abbandono e a una demolizione del mondo degli oggetti che hanno dato vita alla pittura e alla scultura astratta. Al tempo stesso però è proprio questo mondo degli oggetti a fare la sua comparsa sulla scena dell’arte, ed è anche iniziato un processo di “oggettualizzazione” della scultura. Si pensi qui soltanto ai “readymades” (principalmente nell’opera di Marcel Duchamp): manufatti comuni e oggetti prodotti industrialmente fanno il loro ingresso nell’arte e ottengono lo status di scultura.

“È la grandezza sconosciuta dalla quale voglio partire e alla quale voglio giungere.” Con questo statement del 1968, l’artista Eva Hesse apre nel campo della scultura nuove strade.5 È questo un periodo in cui si moltiplicano i materiali e gli strumenti a disposizione della scultura. Sempre più spesso vengono impiegati materiali non convenzionali ed estranei all’arte, come ad esempio materiali sintetici, prodotti industriali e gomma. Ma anche oggetti di uso quotidiano come vestiti e giocattoli possono diventare parte di una scultura, rendendo anche necessario un rinnovamento delle conoscenze e delle abilità tecniche. Gli artisti sperimentano dunque con materiali e stati d’aggregazione diversi (ad esempio con fuoco ed acqua), iniziano ad estendere l’idea di scultura alla dimensione temporale, ad interessarsi alla possibilità di far vedere il processo artistico e l’energia che lo accompagna. L’attenzione si sposta dall’opera plastica compiuta a ciò che accade durante il processo produttivo o a ciò che ne scaturisce. La forma delle sculture è il risultato delle caratteristiche materiche e delle sollecitazioni cui è sottoposto un oggetto. Dall’impiego di film e video nascono quelle che potremmo de-finire sculture mediali. A partire dagli anni ‛60 del secolo scor-so, la storia della scultura è caratterizzata sempre più da forme artistiche multimediali, come la performance, l’installazione e l’environment.6 Assemblaggi e accumulazioni danno vita a grandi installazioni spaziali in cui vengono impiegati i mezzi espressivi più disparati, dalla pittura al film, dal testo all’oggetto. Fluxus, happening e più in generale l’arte d’azione7 contribuiscono ad ampliare ulteriormente il concetto di scultura. Istruzioni rivolte al pubblico invitano alla partecipazione attiva, e in determinati casi gli oggetti diventano opere d’arte soltanto attraverso l’utilizzo che ne fanno i visitatori. Alcuni approcci concettuali vanno oltre: anche un’affermazione puramente verbale, un testo su una parete o anche un’istruzione possono diventare scultura. Oppure un documento fotografico, un’installazione o un’azione, una plastica sociale, un processo sociale (ad esempio nell’opera di Joseph Beuys). In tempi più recenti, artisti come Erwin Wurm sperimentano al confine tra scultura, azione e performance. Per Wurm, tutto può diventare scultura: azioni quotidiane, istruzioni scritte, fotografate o disegnate, anche un semplice pensiero. Sia infine menzionato ancora un ulti-mo artista: l’altoatesino Walter Pichler. L’artista recentemente scomparso si poneva la domanda: “Dove inizia la plastica? E dove finisce?” Per le sue sculture arcaiche in metallo o legno, Pichler costruiva apposite case e strutture – abitazioni che avevano dimensioni e rapporti perfetti, affinché le opere trovassero il loro posto ideale e godessero di condizioni di luce ottimali.

Conclusio

In conclusione possiamo affermare, tenendo conto dell’enorme varietà di materiali, forme, tecniche, spunti te-orici e concettuali che possono essere riassunti con il termi-ne “scultura”, che questa disciplina non è affatto una forma d’arte statica e invariabile, con regole e confini ben definiti e delimitati. Al contrario, la scultura è una disciplina viva e dinamica perché riesce ad estendere i suoi ambiti e il raggio d’azione con instancabile energia. L’estensione del concetto di scultura a partire dagli anni ‛60 e ‛70 del secolo scorso (attraverso Joseph Beuys o fluxus, ma anche grazie ad in-flussi provenienti dall’arte concettuale, dalla Minimal Art e dall’Arte Povera) ha creato premesse completamente nuove e ha portato grandi novità nella scelta dei materiali. A ciò si ricollega anche una riflessione sui limiti ma anche sulle possibilità artistiche di un’opera scultorea autonoma. La scultura è probabilmente cambiata negli ultimi decenni più di quanto non sia accaduto durante tutta la sua storia precedente. “È cambiata, perché siamo cambiati noi”, scrive Judith Collins. “Alla ricchezza di idee e alla complessità del mondo moderno corrispondono ricchezza di idee e complessità della scultura contemporanea.”8

I temi e i contenuti della scultura contemporanea sono così vari come l’arte stessa: il nostro mondo e la quotidianità con tutte le sue dimensioni, le riflessioni sulle condizioni e i presupposti basilari dell’arte e le esperienze esistenziali dell’uomo, ma anche il condizionamento e le trasformazioni dello spazio allestito sono tutte componenti che si rispecchiano nella produzione scultorea. Più recente è invece nuovamente la tendenza a trattare la figura umana vista come corpo inserito nello spazio. E accanto ai nuovi strumenti impiegati in modo sperimentale e alle più recenti forme espressive si ritrovano ancora i materiali “classici”, come bronzo, marmo e legno – spesso però in combinazione con tematiche sorprendenti, innovative e non convenzionali.

L’ampliamento del concetto di scultura ha spianato la strada verso nuovi campi d’azione, nuove forme di rappresentazione e realizzazioni legate alla dimensione temporale. “Evidente-mente si manifesta qui un certo scetticismo nei confronti di un concetto di opera avvertito come ermetico e introverso, che la ‘scultura autonoma’, creata esclusivamente per uno spazio es-positivo museale diviso dal mondo esterno, incarna”, sottolinea Ute Riese. Diventa sempre più forte la necessità di scardinare di riaprire i meccanismi museali e commerciali tradizionali. Ecco che ritorniamo all’argomento esposto all’inizio del saggio. È auspicabile che le opere d’arte interagiscano maggiormente con il contesto sociale e possano avere un ruolo sempre più importante all’interno della società. “Una nuova visione del ruolo dell’artista si manifesta sia nell’interazione con lo spazio pubblico e nella relazione con la moderna urbanità (spazi urbani, posti esposti, teatri marginali), sia nella rappresentazione di situazioni comunicative tipiche e nella ricerca di un nuovo e più ampio pubblico che non comprenda soltanto i soliti appassionati d’arte.”9

Le opere d’arte esposte nella zona pedonale di Ortisei vanno os-servate tenendo presente questa nuova idea di scultura. L’attività scultorea ha in Val Gardena una lunga e gloriosa tradizione e va accolta con soddisfazione l’apertura all’arte contemporanea propriamente detta, sia per ciò che concerne la produzione artistica, sia per ciò che concerne l’attività espositiva. Accanto a diversi eccellenti scultori tradizionali sta emergendo negli ulti-mi anni un gruppo di artisti estremamente interessanti che si orientano al panorama artistico internazionale e che tentano di unire il loro sapere tecnico tradizionale a tematiche e approcci più prettamente contemporanei. La biennale di scultura permette così di conoscere di volta in volta alcuni artisti gardenesi e non solo, le cui opere sono testimonianze tangibili di quanto possa essere vario e sfaccettato (anche in Alto Adige) il concetto di scultura: Arnold Mario Dall’O unisce una grossolana struttura di palette di legno con una testa lignea lavorata realisticamente, Gehard Demetz propone attraverso le sue figure bronzee dalle fattezze infantili uno sguardo psicologico sull’interiorità, la scultura di Hubert Kostner impiega oggetti d’uso e si avvale della partecipazione dei visita-tori, Walter Moroder sfrutta, con i due blocchi di cemento, la forma classica del monolite e Esther Stocker altera attraverso un cubo minimalista e formalmente incompiuto la percezione dello spazio.

Gli abitanti di Ortisei ma anche gli ospiti della località turistica avranno modo di intraprendere un affascinante viaggio alla scoperta dell’arte. “È bello pensare che la biennale, svolgendosi a cielo aperto, sia in qualche modo un regalo per tutti”, afferma Esther Stocker. Mi auguro, che molti possano condividere quest’affermazione, che la mostra venga accolta in modo positivo, che possa sorgere un dialogo vivo e aver luogo uno scambio di idee stimolante. Non mi resta che ringraziare i cinque artisti per le loro fantastiche opere ma anche per la cordiale e feconda collaborazione. Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che hanno reso possibile la biennale di scultura, in primo luogo alla direttrice artistica Doris Ghetta, perché solo grazie alla passione e al sincero impegno per l’arte contemporanea di perso-ne come lei è possibile realizzare eventi ambiziosi come questo.

Günther Oberhollenzer
curatore Essl Museum, Klosterneuburg / Vienna


1 Arlene Raven (1944-2006) war eine amerikanische Kunsthistorikerin und Feministin.

2 Barnett Newman, zit. nach: Rosalind E. Krauss, Skulptur im erweiterten Feld (1978), in: Rosalind E. Krauss, Die Originalität der Avantgarde und andere Mythen der Moder-ne, hg. von Herta Wolf, Dresden 2000, S. 337.

3 Fließend sind in diesem Zusammenhang auch die Grenzen zur Installation. Gemeint ist damit ein dreidimensionales Kunstwerk, bei dem der raumgreifende, ortsgebundene oder situationsbezogene Charakter besonders betont wird.

4 Einige Passagen der folgenden Abhandlung sind an einen sehr informativen Aufsatz von Peter Weibel angelehnt. Für Weibel sind „Skulptur, Objekt, Medieninstallation, Handlung“ die vier großen Metamorphosen der Skulptur im 20. Jahrhundert. Peter Weibel, Die Skulptur im 20. Jahrhundert. Zwischen Abstraktion, Gegenstand und Hand-lung, in: Österreichischer Skulpturenpark Privatstiftung (Hg.), Garten der Kunst. Österreichischer Skulpturenpark, Ostfilden 2006, S. 13-26.

5 Eva Hesse zit. nach: Judith P Fischer, different.ways.2.SCULPTURES, Ausstellungskatalog Künstlerlaus Wien und Klagenfurt 2009, S. 3.

6 Das Environment ist ein aus dem englischen entlehnter Begriff und bezeichnet künstlerische Arbeiten, die sich mit der Beziehung zwischen Objekt und Umgebung auseinan-dersetzen. Dabei kann die Umgebung Teil des Kunstwerkes sein.

7 Fluxus und Happening sind wichtige Formen der Aktionskunst. Fluxus ist eine radikale, experimentelle Kunstbewegung in den 1960er Jahren mit Einflüssen aus dem Dadais-mus. Nach dem Dadaismus ist Fluxus der zweite elementare Angriff auf das Kunstwerk, das im herkömmlichen Sinn negiert wird und als bürgerlicher Fetisch gilt. Was zählt, ist die schöpferische Idee. Fluxus ist eng mit Musik, Aktion und Happening verbunden. Happening ist ein improvisiertes Ereignis direkt vor Publikum.

8 Judith Collins, Skulptur heute, Berlin 2008, S. 6. Es soll hier allerdings auch erwähnt werden, dass die Erweiterung des Skulpturenbegriffes durchaus auch kritisch gesehen werden kann. So prangert etwa Robert Fleck die „Zersplitterung des Skulpturenbegriffes“ an, die es unmöglich machen würde, die Geschichte und Entwicklung der Skulptur im 20. Jahrhundert zusammenfassend darzustellen. Robert Fleck, Die Erinnerung der Skulptur, in: Figur / Skulptur, Ausstellungskatalog Essl Museum, Klosterneuburg / Wien, 2005, S. 22-27, hier S. 25.

9 Ute Rise, Skulptur 2000, Ausstellungskatalog Kunsthalle Wilhelmshaven, Wilhelmshaven 2000, S. 4.